lunedì 25 marzo 2013

Due Pontefici assieme che pregano


In questo periodo non si fa altro che parlare della Chiesa e di quanto accaduto con le dimissioni Benedetto XVI e con l’elezione di Francesco. Oggi parliamo ancora della Chiesa perché per la prima volta in assoluto, due Pontefici si incontrano, successore e predecessore, in “fratellanza”. Poteva essere già accaduto in passato, in effetti avvenne con Bonifacio VIII e il predecessore Celestino V, ma non fu niente di “fraterno”, tant’è che Bonifacio fece arrestare Celestino V dal Re di Francia e lo fece rinchiudere nella Rocca di Fumone, per timore che questi potesse avanzare poi pretese nei suoi confronti, nei giochi di potere della Chiesa da parte dei Cardinali. Bonifacio VIII seppellì Celestino V in effetti, celebrando i funerali quando questi morì.  
Non sono un fervente cattolico, ma non posso non riconoscere la grandiosità di questo incontro, fatto di umiltà. Francesco è “amico” di Benedetto. Quest’ultimo non vuole prevaricare il nuovo Pontefice e si allarma quando questi non si mette al posto d’onore, ma gli prende la mano e lo fa sedere dicendogli “siamo fratelli”.
Le immagini di questo incontro resteranno impresse nella storia. Forse la Chiesa sta vivendo una sua primavera dopo secoli di medioevo. Non dobbiamo certo aspettarci cambiamenti epocali nella sostanza degli insegnamenti, ma la forma ha subito una profonda trasformazione. Sarà interessante ragionare anche se questa apertura umile e questa umanizzazione della figura del Sommo Pontefice non rischi di indebolire in modo eccessivo la Chiesa come istituzione.  Possiamo anche avere dubbi di ogni genere e non avere in simpatia nessuno di questi due Pontefici, non mi esprimo in tal senso, ma non posso negare che questo incontro, queste parole e questi gesti, mi hanno fatto provare una sensazione di tenerezza.

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Federico Quadrelli, Sociologo 

domenica 17 marzo 2013

Due stili a confronto - Benedetto e Francesco


 Non nascondo che lo studio delle dinamiche interne alla Chiesa Cattolica mi affascina molto. Ho sempre avuto interesse per lo studio della storia del Papato, delle questioni etiche e politiche che hanno interessato la Chiesa di Roma dalla sua nascita ad oggi.

Per questioni anagrafiche il mio interesse è rivolto soprattutto alla Chiesa del secolo scorso e del nuovo millennio. Nasco nel 1986 e quindi nasco nel periodo di Giovanni Paolo II. All’età di 19 anni assisto alla prima cerimonia per la sepoltura di un Pontefice e la preparazione per il conclave. Il 19 aprile 2005 assisto all’elezione di un Pontefice, è Benedetto XVI, Sanctae Romanae Ecclesiae Cardinalem Ratzinger.

Benedetto XVI subentra ad un Papa storico, un gigante della Chiesa contemporanea. Non è un compito facile quello di Ratzinger. Non ha il vigore della giovinezza che aveva aiutato Giovanni Paolo II nel 1978, è un uomo di fede e di studio, è un filosofo e un teologo. Ha lavorato per venti anni all’ombra di Giovanni Paolo II e non è abituato ai bagni di folla. Da credente o da non credente, a Benedetto XVI va riconosciuto il coraggio di affrontare una società che per la Chiesa è incomprensibile. Possiamo dividerci sull'essere o meno d'accordo circa l'atteggiamento verso le donne, verso l'omosessualità e verso i costumi. L'innovazione non sta certo nei contenuti: le posizioni sulla famiglia "tradizionale" o sull'omosessualità, non sono diverse da quelle di Giovanni Paolo II e come si è visto, nemmeno da quelle di Francesco I. Questo è un dato con cui fare pace: le posizioni sostanziali della Chiesa e dei Pontefici non mutano, ed è "naturale" che sia così, è funzionale alla continuazione di una dottrina cristallizzata in duemila anni di storia e in una dottrina che regola la vita delle persone e le progenie. Ma in questo post vorrei concentrarmi sugli stili di comunicazione, sugli intenti "pastorali" dal punto di vista dei due Pontefici.
In questi anni Papa Benedetto XVI ha presentato una nuova forma di comunicazione: mite, ma ferma. Non ha fatto propria la veemenza di Giovanni Paolo II, è rimasto fedele alla propria indole. Da professore, i suoi discorsi erano piccole lezioni di teologia. Uno stile di comunicazione molto particolare: delicato, fermo, tradizionale, rassicurante e mirato alla spiegazione. 
Ho analizzato attentamente la comunicazione di Benedetto XVI e i contenuti di questa. Ho trovato sempre grande profondità e onestà nelle sue parole. Ho visto nella politica di Benedetto XVI un tentativo onesto di riportare la barca della Chiesa su acque tranquille, di “far pulizia” al suo interno prima di tutto. E questa è la sensazione che mi ha offerto, ciò che da spettatore ho potuto percepire.
Gli scandali sulla pedofilia hanno di fatto incrinato il rapporto di fiducia tra Chiesa e Comunità dei Fedeli. Benedetto XVI aveva coscienza del pericolo che incombeva e ha capito che le energie per affrontare una rivoluzione interna alla Chiesa non erano sufficienti per un uomo della sua età. La fatica dell’età è infatti un fatto ineludibile. Di mese in mese le forze vengono meno, ad ottant’anni non si è più ciò che si era a settantanove anni. Ogni anno che passa diventa insostenibile, specialmente per chi deve ricoprire una carica di così grande importanza. 
Affrontare un magistero che parla a miliardi di persone in tutto il mondo: Pastore della Chiesa Universale. Vi immaginate la pressione e il senso di isolamento che deve provare una persona che ricopre un tale incarico? 
Paolo VI fu il primo a parlare della profonda solitudine del Pontefice. Ma è sempre mancato il coraggio di riconoscere la propria umanità: il rituale della vestizione può essere responsabile di questa incapacità di "rinunciare". Entri Cardinale, ti spogli delle tue vesti e diventi il Sommo Pontefice, vesti una toga bianca, pura come la neve, e cambi nome: rinunci alla tua dimensione individuale, alla tua personalità e divieni "altro". 
La retorica della "trasfigurazione" inizia a cedere con Giovanni XXIII. Non a caso è lui a indire un Concilio per aggiornare la Chiesa. Non poteva essere un Pio XII, nobile, principe della Chiesa e non solo. Benedetto XVI partecipa al Concilio Vaticano II, come giovane teologo. Cresce in questo clima di rivoluzione dogmatica e procedurale, diventa cardinale e lavora con Giovanni Paolo II per venti anni. Sta nell'ombra. Riflette, scrive e supporta il Papa nelle sue scelte. Ma Benedetto XVI è novità, novità nella continuità. La sua Chiesa è quella delle origini: preghiera, misericordia, tradizione e umiltà davanti a Dio. 

Vorrei poter analizzare uno per uno gli interventi di Benedetto XVI perché, malgrado io non condivida quasi niente delle posizioni della Chiesa, specialmente per quanto riguarda i diritti civili e per quanto riguarda il ruolo del sacerdozio, ammiro la personalità umile e mite di questo uomo diventato Papa. Rispetto il suo sforzo nel custodire ciò che per lui era il valore massimo: la tutela della fede come indicata nella teologica e nelle scritture. 
Lo ha fatto recuperando tradizioni e rituali artificiosi, inscritti nella dottrina, ma che non provenivano dagli insegnamenti di Cristo. Lo sforzo era, secondo me, intriso di buoni intenti, ma la metodologia è stata fallace. Si è confuso il dogma con la fede, la tradizione mondana con i principi ed i valori veri di una religiosità recuperata. 
La comunicazione di massa ha trasformato anche la Chiesa, e Giovanni Paolo II ne è stato interprete e fautore, a torto o a ragione. Infatti, istituzione millenaria non può restare monolitica perché i tempi corrono troppo veloci per poterselo permettere. Ma, paradossalmente, ogni apertura alla contemporaneità ha permesso il lento e inesorabile smantellamento dell’istituzione così come la storia ce la ha consegnata. Raztinger ha, forse, tentato di recuperare la tradizione dogmatica e rituale per poter ristabilire la supremazia di una istituzione in crisi: le vestigia, il latino, la centralità delle scritture rispetto alla comunicazione di massa, l’attenzione per le minuzie celebrative e per gli oggetti sacri. Le encicliche stesse sono una testimonianza di questa volontà di spiegare e di recuperare quanto di ciò che è stato. 
Benedetto XVI ha cercato di restituire alla Chiesa  l’immagine dell’Istituzione eccellente, della Chiesa onnipotente. Ha rivalorizzato una storia antica di duemila anni, ma lo sforzo era quello di un uomo divenuto Papa, da solo in questo tentativo, fuori dalla storia. La Chiesa di Cristo doveva tornare alla Sua funzione di testimone di Dio, e la figura del Papa diviene, nella testimonianza di Ratzinger, solo un mezzo per ottenere tale scopo. Non c'è infallibilità né onnipotenza nel Pontefice, egli è solo un "umile servitore nella vigna del signore". 
Benedetto XVI è per tutti il Papa della tradizione, il conservatore, il professore e il teologo. Non ha il fascino comunicativo di Giovanni Paolo II e non ha nemmeno l'idea mitologica della figura del Pontefice. Per Ratzinger, il Pontefice serve la Chiesa e Dio e per farlo deve averne le capacità: fisiche e spirituali.   

Il Papa si scopre uomo e si scopre vero testimone dell’innovazione conciliare. L’infallibilità del Papa è ormai un'idea decaduta, il suo approccio dialogante tipico del professore e dello studioso lo hanno indotto a non essere “monarca assoluto” ma a spiegare le sue scelte, anche a giustificarle. Niente di più mondano e di più terreste che giustificare e spiegare le proprie posizioni. L'atto di fede, infatti, si fa verso Dio non verso gli uomini e non verso le loro interpretazioni della vita. 
Il paradosso di questo Pontificato è, secondo me, tutto qua: c'è un tentativo di ripristinare una tradizione millenaria che poneva la Chiesa ad un'altitudine diversa, con un metodo secolarizzato e post-conciliare. Benedetto XVI ha tentato di spiegare alla gente la fede dal punto di vista della Chiesa di Roma, i suoi Angelus erano questo: narrazioni situate e studiate, episodi delle sacre scritture declinati ai giorni nostri. La capacità di interpretare testi antichi e di spiegarli a tutti: un professore che parla agli alunni, come un filosofo greco nell'agorà. Non solo, si è anche prestato alla nuova comunicazione digitale, portando il Papato in rete, su twitter. Complesso per un Pontefice limitare il proprio intervento a 120 caratteri. Sembra che Francesco I abbia accettato di buon grado di proseguire su questa strada: nuove forme di evangelizzazione. 


L’ultimo Angelus di PapaBenedetto XVI è secondo me la manifestazione più dolce e profonda dell’umiltà di questo uomo divenuto Papa e della sua profonda razionalità, coscienza e buonafede. Nell’ultimo Angelus Papa Benedetto XVI è visibilmente stanco, con voce affannata e incerta, non è un "monarca assoluto", è un anziano signore che chiede perdono per le proprie fragilità e un uomo di grande saggezza che sa riconoscere quando è il momento di cedere il passo. Le dimissioni dal ministero petrino hanno abbattuto definitivamente l’idea di infallibilità e onnipotenza della figura del Pontefice e di conseguenza del Papato. Un ruolo non più divino, ma totalmente umano e mondano, politico e sociale.  
“Grazie per il vostro affetto” dice il Papa. Una dichiarazione di gratitudine, una manifestazione di umilità, come ricorderà poco dopo Francesco I. Parla del ruolo della preghiera e del bisogno di rinnovare una fede, forse messa in discussione dalle brutture della vita e degli intrichi di palazzo. 
Il primato della preghiera è posto come elemento fondativo della fede. Non è isolamento dal mondo, la preghiera per Benedetto XVI è un riavvicinarsi a Dio, salendo il “monte” verso la divinità non per restarvi, ma per tornare indietro e offrire se stesso al mondo, ma in un modo consono alle forze e all'età. Benedetto XVI ammette di avvertire questo messaggio particolarmente forte per se stesso, per questo momento preciso della sua vita: “non abbandono la Chiesa” afferma. Si dedicherà alla preghiera, alla fede profonda e personale, per servire la Chiesa. Pregherà per la Chiesa affinché lo sporco venga lavato via. Ammette la necessità di rivoluzionare tutto, anche la figura stessa del Sommo Pontefice: grazie a questo atto di coraggio, la Chiesa non potrà più essere quella che è stata e paradossalmente dovrà tornare ad essere ciò che avrebbe dovuto. 
La preghiera e la misericordia entrano prepotentemente nella vita collettiva e istituzionale della Chiesa. Nessun Pontefice dopo di lui potrà ignorare quanto fatto, il gesto di rottura supremo: la rinuncia al ministero petrino.  
Nessun Pontefice dopo di lui potrà dire: è per sempre. Nessun Pontefice dopo di lui potrà dire che la sua esperienza personale, come Capo della Chiesa, potrà essere scambiata con la volontà di Dio e associata all’idea di infallibilità. 
Il Pontefice è umano, troppo umano. Solo in questo modo può partecipare alla sofferenza della Chiesa e della collettività, solo divenendo uomo tra gli uomini, anche il Sommo Pontefice può comprendere la sofferenza e il bisogno in cui si trovano miliardi di persone. Il significato stesso del gesto di Benedetto XVI è di portata epocale. Questo uomo divenuto Papa, mite e umile, ha impresso nella storia della Chiesa futura la sua impronta indelebile. Benedetto XVI ha reso alla Chiesa un servizio senza precedenti: sacrifica se stesso, le sue prerogative, i suoi privilegi in virtù del bisogno di rivoluzionare l’intero sistema, di rendere la Chiesa più umile e più vera. La fede e la vocazione tornano al centro del dibattito interno alla Chiesa e il mondo ha assistito ad un gesto di coraggio e di profonda saggezza. La comunicazione di Benedetto XVI era funzionale a questi scopi, che gli obiettivi siano stati o meno raggiunti, è un discorso a parte che deve tenere conto della contemporaneità e della sempre più radicata "secolarizzazione": forse la Chiesa come la conosciamo noi per poter realmente riconquistare un dominio spirituale, deve cadere e risorgere dalle proprie ceneri, come una Fenice. Potrebbe essere necessaria una Chiesa "altra": il tempo non è clemente, ed esige che vengano date risposte ai temi sociali emergenti: donne, povertà, disuguaglianza sociale, politica e umana, omosessualità e famiglie alternative. 
L’elezione di Francesco I è in  parte il nuovo. Un Papa non europeo, il primo dall’inizio della Storia della Chiesa, così come conosciuta dopo Pietro (che non era europeo). Un gesuita, una figura quasi misteriosa. Un uomo che vive umilmente e che ha scelto come nome quello di Francesco. San Francesco d’Assisi, l’uomo ricco che si straccia le vesti perché la vera fede non è nella ricchezza. San Francesco è l’uomo della misericordia, della lotta alle ingiustizie e alla corruzione della Chiesa. Innocenzo III, Papa contemporaneo di Francesco d’Assisi, conferma l’ordine dei Francescani, pare dopo un sogno premonitore, una visione in cui la Chiesa in rovina, decadente, distrutta dai peccati dei suoi ministri, viene salvata da un Francesco. A distanza di 1000 anni, un Francesco diviene Papa e la sua elezione è rottura totale con quanto è stato fino a otto anni prima.
Francesco I ignora il protocollo, ignora le minuzie dei riti romani, gli oggetti sacri e lo sfarzo del Papato. Cammina per strada, come un frate, parla con la gente, come un parroco, scherza con i giornalisti e lo fa partendo sempre da una sua personale visione delle cose. Il primo Angelus di Francesco I è una narrazione personale, è distante dallo stile di Benedetto XVI. Non sono gli episodi delle scritture al centro della narrazione, ma l'esperienza della propria missione. Si pone come uno fra molti: è umile nello stile, sobrio negli atteggiamenti, è colloquiale e personale. Ogni discorso è un riferimento alla propria vita e alla propria esperienza pastorale. L’effetto Benedetto XVI è visibile. Una chiesa umile e originale, un cambio di passo. Il Pontefice non è più un monarca assoluto e non è infallibile, il Pontefice è uno di noi, è parte della comunità e in quanto tale si rapporta ad essa con amicizia e con informalità. Dice il Papa "è importante incontrarsi di Domenica, salutarsi e parlarsi, qui nella piazza". Questa affermazione racchiude, secondo me, tutto quanto c'è da osservare su questo nuovo Papa e sul suo stile. Entrambi i Pontificati si sono aperti con gesti di umiltà e con una richiesta: pregare per il vescovo di Roma affinché faccia bene il proprio dovere. 
Benedetto XVI e Francesco I sono diversi, hanno esperienze diverse. Condividono, però, un comune senso della fede e della misericordia, mi verrebbe da dire, monacale, dedicato al sacrificio personale per essere testimoni del bisogno di cambiamento di tutta la Chiesa. Hanno anche un sogno: avere una Chiesa riformata e purificata. Per Benedetto XVI il sogno era di cacciare il relativismo e i venti di dottrina, per Francesco I è avere una Chiesa povera. Ricca di misericordia e carità, ma povera di intrighi, di collusioni col potere mondano, e una maggiore apertura alla gente e alla comunità. 
Sono entrambi conservatori e difensori di una certa dottrina, ma credono nel primato della preghiera e del dialogo, si confrontano con la gente, seppur ad altitudini diverse. Se il processo innescato da Benedetto XVI e che Francesco I sembra intenzionato a non interrompere, porterà vantaggi alla Chiesa, intesa come comunità di fedeli piuttosto che come gerarchia e curia, lo si vedrà nel tempo, la storia sarà giudice, condannerà o assolverà.  
Nel frattempo non resta che augurarci che i conservatorismi, le posizioni arcaiche e antistoriche restino fuori dal percorso di rivoluzione appena avviato, e che i principi del Concilio Vaticano II non solo vengano applicati, ma anche rivisti alla luce delle potenti trasformazioni sociali e culturali che hanno interessato, interessano e interesseranno il mondo in questo nuovo millennio. 
E se questo profondo rinnovamento significherà ripensare l'intera Chiesa e ripensare anche i dogmi e la sostanza dell'istituzione, allora ben venga un Papa Francesco, portatore di un nome di umiltà profonda. 

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Federico Quadrelli, sociologo, 17.03.2013. 

giovedì 14 marzo 2013

Riflessioni sull'elezione del nuovo Pontefice


Habemus Papam...


Il 10 febbario 2013, il Sommo Pontefice Benedetto XVI ha  dichiarato pubblicamente la decisione di abbandonare il ministero 
petrino
Per la prima volta dopo seicento anni un Pontefice decide di rimettere il proprio mandato, dopo una riflessione profonda con “Dio” (in effetti le dimissioni di un Pontefice non vengono date a nessuno e non sono soggette ad accettazione, il Pontefice è artefice di ogni decisione). Il caso più noto nella storia della Chiesa risale a Celestino V, il Papa “del gran rifiuto” che Dante collocò nell’inferno. Celestino V rinuncia al Suo ministero nel 1294 affermando “ Io Papa Celestino V, spinto da legittime ragioni, per umiltà e debolezza del mio corpo e la malignità della plebe [di questa plebe], al fine di recuperare con la consolazione della vita di prima, la tranquillità perduta, abbandono liberamente e spontaneamente il Pontificato e rinuncio espressamente al trono, alla dignità, all'onere e all'onore che esso comporta, dando sin da questo momento al sacro Collegio dei Cardinali la facoltà di scegliere e provvedere, secondo le leggi canoniche, di un pastore la Chiesa Universale”. 

Nella declaratio il Papa ammette di non poter più assolvere al suo magistero: “dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino”. Il gesto di Bendetto XVI è rivoluzionario. Benedetto XVI procede con la declaratio affermando che “nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato”. Il gesto racchiude in sé un significato molto importante: in primis, il Pontefice abbatte l’idea che non ci sia alternativa ad un percorso che apparentemente sembra essere a senso unico e senza possibilità di fare marcia indietro. In secondo luogo, colui che ha strenuamente difeso i valori della Chiesa nella loro forma più tradizionale, tanto da essere considerato un Papa conservatore se non antistorico, applica in pieno i valori del ConcilioVaticano II. 

Lo spirito della modernità ha travolto anche la Chiesa. Il Sommo Pontefice Benedetto XVI si è fatto testimone di questo cambiamento. Non è in questa sede che si vuole argomentare sulle motivazioni: se è per ingravescente aetate o per altre ragioni. Il punto essenziale consiste nella rinuncia, la rinuncia al ministero petrino. Il Sommo Pontefice lascia con umiltà e con un gesto rivoluzionario per la Chiesa, un gesto che ha colpito credenti e non credenti: può un Papa dimettersi? Può un Papa decidere di non assolvere al Suo dovere, quello imposto volontà dello Spirito Santo per mezzo del collegio cardinalizio? La domanda è stata per giorni proposta sui giornali e nei dibattiti. La risposta è molto semplice: si, un Pontefice può abdicare (non dimettersi, ma rinunciare) in virtù delle norme del Diritto Canonico e in virtù di quanto fatto dal Papa stesso.
Colpisce la serenità con cui Bendetto XVI ha riposto il suo mandato incaricando i cardinali di allestire il nuovo conclave. L’interrogativo adesso è se il nuovo Pontefice sarà o meno in grado di affrontare le grandi trasformazioni che interessano la società contemporanea e le istituzioni, anche la Chiesa. 

Jorge Mario Bergoglio, Cardinale di Buenos Aires, gesuita, viene eletto Pontefice con il nome di Francesco I. Una nuova rivoluzione nella Chiesa?
Bergoglio è il primo Pontefice della storia della Chiesa non europeo, infatti, malgrado le origini italiane (il bis nonno era piemontese) è nato e vissuto in Argentina. Anche il nome scelto è una rivoluzione: Francesco, il nome del Santo patrono d’Italia, colui che si stracciò le vesti per abbandonare le ricchezze materiali. Si dice che Innocenzo III ebbe un sogno, la Chiesa in disgrazia veniva salvata da Francesco. Quella visione spinse l’allora Pontefice a riconoscere l’ordine dei francescani, nella convinzione che questo fosse nella volontà di Dio. Ebbene, a distanza di quasi mille anni, un Francesco entra nella storia, come nuovo Sommo Pontefice della Chiesa di Roma. Il simbolismo è potente. L’eredità lasciata da Giovanni Paolo II e quella di Benedetto XVI sono ora nelle mani di questo gesuita, il primo in assoluto del suo ordine ad essere scelto come Vescovo di Roma. La spinta innovativa può veramente essere data da questo Papa gesuita? 

C’è da chiedersi se un uomo di 76 anni, appartenente ad un ordine come quello dei gesuiti, possa effettivamente far fronte ai venti di cambiamento che hanno investito la Chiesa e il mondo. C’è da chiedersi se al di là dei simbolismi questo nuovo Pontefice possa o meno affrontare gli scandali che hanno interessato ampie fasce del clero, soprattutto negli Stati Uniti e le continue lotte di potere che da secoli, forse fin dai primi tempi, hanno caratterizzato la storia del Papato. 

Benedetto XVI ha aperto al successore una strada inedita, ricca di possibilità. Ha però anche lasciato una grande responsabilità al neo eletto: riformare la Curia, affrontare lo “sporco” all’interno del corpo clericale, fare pulizia e ristrutturare il senso stesso della Chiesa. Non possiamo però ignorare il fatto che alle spalle di questo Pontefice ci sono eventi poco nitidi. Tuttavia, non si può ignorare il fatto che a Jorge Mario Bergoglio vengano contestate posizioni morbide o compiacenti con la dittatura in Argentina e vengono rimproverate posizioni radicali nei confronti dell’omosessualità e nei confronti delle donne. Viene considerato un progressista, eppure le sue posizioni sono molto conservatrici: la visione della donna, dell’omosessualità, dei costumi. Forse questa novità rischia di essere una novità non troppo positiva.
In occasione dell’approvazione in Argentina delle tutele alle coppie omosessuali ebbe a dire che “questa non èuna semplice lotta politica, è un tentativo di annientare il piano di Dio”. Anche nei confronti delle donne non presenta posizioni innovative. In occasione dell’elezione di Cristina Kirchner disse che "le donne sono naturalmente inadatte per compiti politici. L'ordine naturale ed i fatti ci insegnano che l'uomoè un uomo politico per eccellenza, le Scritture ci mostrano che le donne dasempre supportano il pensare e il creare dell'uomo, ma niente più diquesto".


Dobbiamo augurarci che la terribile profezia del Vescovo Malachia non si avveri: l’ultimo Pontefice avrebbe dovuto chiamarsi Pietro II, ma abbiamo un Francesco I. Doveva essere un Papa nero, ma in verità il colore è quello dei gesuiti, del “padre generale”, il Papa nero appunto.  I gesuiti, infatti, devono fare un voto di obbedienza anche nei confronti del Padre Generale. In un recente articolo è stato osservato che non ci sarà inconciliabilità tra il voto di obbedienza di un ex gesuita al Padre Generale e la figura che ora Bargoglio ricopre in quanto Vescovo di Roma, Sommo Pontefice. 

Contraddizioni e paradossi caratterizzano questo periodo storico, anche per la Chiesa: per la prima volta due Pontefici coesistono e si confrontano. Per la prima volta due Pontefici si parlano, successore e predecessore. Questo Pontificato si apre all’insegna del nuovo, della novità. Ma di che entità saranno? Che qualità? Positive o negative? 

Il motto scelto da Francesco I è “Miserando atque Eligendo” tratto dal Vangelo di Matteo. Gesù si rivolge ad un pubblicano e Matteo racconta che “lo guardò con misericordia e lo scelse”. Anche il motto esprime un senso di umiltà profonda e forse di consapevolezza della propria fragilità umana. Da oggi il Papa non è Re assoluto, se non nella carta e non è più infallibile. Benedetto XVI ha reso tutto questo possibile con la sua esperienza petrina: dai dibattiti e dai confronti con il mondo laico e non solo, dalle accuse e dalle continue giustificazioni alle sue scelte, fino all’atto estremo della rinuncia al soglio di Pietro. Francesco I inizia ora con un motto di umiltà profonda e con la parola “misericordia” come punto di riferimento.

Il tempo ci dirà se lo Spirito Santo, che nella cerimonia ha guidato la scelta dei Cardinali, secondo quanto previsto dal rito cattolico, ci ha visto giusto oppure no. Nel frattempo qualcuno inizia a rimpiangere Bendetto XVI. Quali saranno gli sviluppi successivi? Come si muoverà questo nuovo Papa? Come gestirà la convivenza con un Papa Emerito?

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Federico Quadrelli 
*Le foto sono state recuperate online su google, alcune fonti indicano che sono recuperate dal sito della Santa Sede. Cito la fonte:  http://www.vatican.va/phome_it.htm

venerdì 4 gennaio 2013

Correva l'anno 1979...ma oggi siamo davvero sicuri di essere nel 2012?

Con le ultime notizie che ci arrivano da La Spezia, ho potuto riflettere molto su due concetti: 

1) la libertà di pensiero, 
2) il mutamento sociale. 

Sui post di molti giornali si leggono posizioni più o meno aspre verso l'uscita infelice (ed è il mio punto di vista) di Don Piero Corsi  sul fenomeno orribile del "femminicidio". Ho letto commenti ai post, da parte di normali users, davvero interessanti (e a volte raccapriccianti). Pur non condividendo nella sostanza il contenuto della lettera di Don Corsi, molti utenti sbandierano il vessillo, sempre buono, un po' come il cacio sui maccheroni, della "libertà di pensiero". Ma che cosa vorrà mai dire? Allora ho risposto, a più riprese, chiedendo qualche approfondimento. Si può o meno sostenre che in una democrazia la libertà di pensiero è assoluta e che questa coincide con la "libertà di dire tutto ciò che si desidera"? La risposta che mi sento di dare è un semplice, e melodico "no". La libertà di espressione è più un limite al "cosa si può" dire che non la totale assenza di freni. Questo è valido specialmente quando ad aprire la bocca è un personaggio che riveste un ruolo pubblico di grande rilevanza: un politico, un prete, un cardinale, un ministro, un pontefice (!). Partiamo da un po' di tempo fa, con un illustre pensatore noto con il nome di Kant. Il filosofo illuminista definisce la libertà di pensiero come "la capacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro (uomo)". Si presuppone, quindi, una sorta di illuminazione da parte della ragione sulla componente istintiva dell'uomo. Per Kant, è libero un uomo che produce un pensiero (critico) e indipendente, e la libertà di espressione si sostanzia nella possibilità di esprimere tale pensiero senza dover dipendere da altri. Mi piace la definizione, perché è aperta, filosofica e quindi generale, ma per regolare la vita collettiva occorre qualcosa di più che un principio, seppur elevato e così importante.
Andiamo nel giuridico. Nella nostra Costituzione, all'articolo 21 è sancito il diritto di manifestare il proprio pensiero individualmente o pubblicamente, con mezzi di stampa, per voce o in qualunque altro modo. La Costituzione ci protegge dal rischio di ricevere un bavaglio. Ma la legge ci impone anche dei limiti, definendo entro quale perimetro si può o meno parlare di "libertà di pensiero". Per esempio, non puoi offendere deliberatamente un'altra persona, con un intento lesivo, per sporcare la sua "dignità", questo sarebbe ingiuria (Art. 594 Codice Penale) o diffamazione (Art.595 Codice Penale). La libertà di manifestare il proprio pensiero, allora, deve essere accompagnata, per essere valida da qualche elemento aggiuntivo, per lo meno nel nostro ordinamento: veridicità, ossia che ciò che viene affermato sia fondato su una qualche evidenza, continenza interesse pubblico, ossia rispettivamente la connessione tra le due cause e la rilevanza pubblica di questa espressione (in questo caso il riferimento è al mondo giornalistico, direi, e alla diffusione di notizie in senso generale). Nello scontro “privato” il limite alla libertà di pensiero, o meglio, di parola, è dato dal confine con cui non si può violare la dignità della persona, né con atti scritti, né con parole, né con atti fisici o figurati. Naturalmente i limiti imposti dalla legge sono poi valutabili dal giudice.  Già per questa breve rassegna, mi sembra molto chiaro che sbandierare il concetto di “libertà di espressione” sia al quanto fuorviante e demagogico. Nel caso specifico, accusare le donne di “provocare” il loro “aggressore” non è forse un accusa alla loro dignità? Cosa sottende questa affermazione? Che sono donne troppo disponibili? Prostitute? Lussuriose? L’intento quale sarebbe? Screditare la vittima, e salvare il carnefice? Questa è o no una chiara violazione della dignità umana? Si la è. Accusare una vittima di essere causa del proprio male, equivale a dire che “è colpa sua e che si è meritata quello che le è successo”. E temo che l'opinione sia più diffusa di quanto non si creda.

A questo punto vorrei toccare il secondo punto “mutamento sociale”, e si perché questa discussione impone una seria riflessione sull’evoluzione socio-culturale del nostro Paese. Vorrei allora tornare indietro nel tempo, circa 34 anni fa. Era il 1978, in RAI viene trasmesso il primo processo perstupro della storia televisiva italiana. La vittima è difesa dall’allora Avv. Tina Lagostena Bassi e gli avvocati della difesa, tutti maschi, sono “accusati” di “solidarietà maschilista”. In che senso? Ebbene, uno degli avvocati, nel 1978 dice (quasi) testualmente che “dopo tutto ve lo siete cercate, volevate uscire anche voi la sera perché i vostri mariti, amici figli lo potevano fare e avete voluto mettere i pantaloni anche voi, allora diciamolo” afferma l’avvocato “se fosse rimasta a casa al caminetto non le sarebbe accaduto nulla”.  Ecco, signori e signore, cosa è un processo per stupro: una trasformazione del soggetto in oggetto, e della vittima in imputato.  Il mutamento sociale allora, ecco l’interrogativo: quali progressi abbiamo fatto nella struttura socio-culturale del nostro Paese? Dopo 34 anni molti (troppi) utilizzano i medesimi argomenti per giustificare un fenomeno che è solo “criminoso” e dunque “riprovevole”.  Quando una simile accusa è pronunciata dalla bocca (o scritta dalla mano) di un uomo di Chiesa è ancora più grave: si vuole trasformare un peccato (se mai esiste) in un “reato” o in una giustificazione per eventuali atti odiosi che le donne subiscono.  Sei un po’ troppo estroversa ed esteta? Allora non lamentarti se poi un gruppetto di sacri uomini, che agendo da veri uomini, ti stuprano e ti massacrano di botte. Fai un esame di coscienza, taci, prega e vergognati! Ebbene, la formula della libertà di pensiero non regge: un sistema socio-culturale così fortemente maschilista va contro la definizione di Kant: un uomo che parla in questo modo non è libero nel manifestare questo pensiero, ha un profondo condizionamento culturale. Si può quindi considerare 1) libero? 2) autonomo nel pensiero? 3) critico?, 4)giusto?

Cosa è possibile fare per contribuire ad un miglioramento di questo sistema? Cosa potrebbe concorrere ad una effettiva emancipazione culturale e sociale rispetto a questi stereotipi e pregiudizi, ma anche visioni delle cose,  rispetto a questa Weltanschauung di Hegeliana memoria? Su molte cose il jolly, la carta che sempre funziona, è quella dell’educazione. Occorre sensibilizzare e diffondere prospettive nuove, diffondere una cultura di genere che abbia al suo centro la dignità della persona umana e l’idea che il male subito non è meritato quando a subirlo è una donna e soprattutto quando a praticarlo è un uomo, su una donna. Non è così nemmeno per quanto riguarda la violenza contro i transessuali e i trans gender, oppure contro gli omosessuali (gay e lesbiche). La libertà di espressione non può, e non deve, essere lo scudo per difendere e tutelare chi commette atti di violenza e di volgarità.  L’idea che la violenza sia giustificata sulla base del soggetto ricevente è da sanzionare, non tanto non forme di repressione del pensiero, che possono sortire un effetto opposto, ossia sostenere la validità di quell’idea perché qualcuno cerca di censurarla, bensì con la formazione e l’educazione.

Forse sono banalità, le avrete già sentite dire e forse vi hanno anche tediato, ma ahimé sono cose fin troppo contemporanee: era il 1979 e l’arringa di Tina Lagostena Bassi, bellissima, appassionata e forte che vi ho proposto nel link sopra, è purtroppo ripetibile oggi. Quanto è cambiato da allora? Molto, e molto poco. Per queste ragioni, anche in rispetto profondo per quelle donne che hanno subito una violenza, e che vivono sulla loro pelle l’orrore del ricordo e nella loro mente la sofferenza di quei momenti, mi sono sentito di riflettere su questo tema e lo ho voluto fare proprio in questa duplice prospettiva: da parte di coloro che si parano dietro un concetto assai più complesso e articolato, di come lo vogliono far intendere e dal punto di vista della società e del nostro universo simbolico di riferimento. Una cosa positiva va sottolineata: anche gli uomini, non molti, si sono offesi per queste affermazioni. Hanno forse compreso che la lesione della dignità della donna lede anche la loro. 

Federico




martedì 4 dicembre 2012

Sua Santità alla conquista del Web 2.0.



Cosa si può dire dell’ultima notizia? Il Santo Padre è approdato sul Web 2.0. per la precisione su Twitter. La pagina è attiva da poco e i follower sono già oltre 350 mila e sicuramente il dato sarà destinato a crescere in modo esponenziale entro i prossimi giorni.

La pagina del Santo Padre riporta il nome “Benedetto XVI”, mentre il link è un generico @pontifex e come qualche dispettoso fa notare è fatto in modo da cambiare poi nome, quando ci sarà un nuovo Pontefice. Maliziosa la risposta, tuttavia vera. La Chiesa è un’istituzione ormai millenaria e Benedetto XVI è solo uno dei Pontefici della Santa Romana Chiesa, per l’esattezza è il 265esimo rappresentate di Cristo in terra. 
Al di l à dei facili giochi di ironia è opportuno interrogarsi su
due punti:  1) perché una simile scelta? 2)quali sono le conseguenze?

Ormai è evidente a tutti che la comunicazione digitale nel web 2.0. è diventata la forma più potente e utile per far conoscere il proprio punto di vista sulle cose. Utilizzano internet milioni e milioni di persone in ogni angolo del mondo (quelli che possono permetterselo). La scelta di rendere accessibile la “Parola di Dio” secondo le posizioni della Chiesa di Roma, anche tramite il Web 2.0. è un’ottima decisione per raggiungere fedeli lontani e soprattutto quelli più giovani. Che il risultato sia poi quello preventivato, è tutto da vedere. Sta di fatto che anche il Papa ha capito che il Suo messaggio è sterile se non è orientato e diffuso nel modo corretto. 
Questo Papa sembra consapevole dell’importanza della modernità e dei cambiamenti profondi che hanno interessato il mondo negli ultimi decenni, per lo meno su questi temi, mentre sembra ignorare tutto il resto. Rispetto al Suo predecessore, però, ha cercato di mantenere un certo distacco rispetto alla gente e questo ha una sua logica. Il vestito bianco indica l’abbandono della vita terrestre per diventare il rappresentante di Cristo, una figura che dovrebbe essere distante. Da questa distanza deriva molto del carisma e del potere del Pontefice. Giovanni Paolo II ha accorciato questa distanza con la gente comune rendendo la Sua immagine accessibile, semplice e alla portata di tutti: questo non ha giovato alla Chiesa né al Suo messaggio. Si sente dire che Giovanni Paolo II ha riempito le Piazze e ha sgombrato le Chiese. Papa Benedetto XVI suo malgrado è dovuto ricorrere a questo modo di fare per riempire la Piazza, anche se non con lo stesso successo del predecessore. Lo sbarco su Twitter è effetto di questo processo di avvicinamento della figura del Pontefice alla gente. Ma per Benedetto XVI, l’essere Pontefice, è ancora qualcosa di antico e tradizionale, significa essere distante e lontano dai fatti mondani, non lasciarsi influenzare da loro. Per molti sembra assurdo, ma questo Pontefice fa uso della Sua immagine in modo efficiente per la Chiesa, più di quanto non abbia fatto Giovanni Paolo II, che ha centrato tutto sul Suo personale carisma e ben poco sulla Chiesa come istituzione. Al di là delle posizioni personali, comunque, posso interpretare la scelta del Pontefice di utilizzare Twitter come un tentativo di modernizzazione, ma anche di “marketing”. Sia per diffondere meglio il Suo messaggio e per raggiungere coloro che lo sentono distante e che vogliono un contatto “apparentemente diretto” sia per non lasciarsi schiacciare dal mutamento sociale, anche nelle forme di comunicazione. Lo fa con una certa distanza nei modi, quel distacco che rende il Suo ruolo quello di un tempo. Fatto sta, però, che mettersi su Twitter significa anche esporsi a numerosi attacchi e numerose critiche, più o meno simpatiche. Sarà interessante osservare in che modo saranno gestite queste forme di dissenso e di critica da parte della Chiesa.



In conclusione, però, Benedetto XVI ha iniziato la Sua opera di evangelizzazione online, direi una digievangelizzazione! Adesso dovremmo vedere come si evolve il tutto, se lo scopo sarà raggiunto o se questo comporterà un ulteriore indebolimento della Chiesa nella sua immagine di istituzione millenaria.


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Federico Quadrelli 

domenica 18 novembre 2012

ILLUSIONE DI LIBERTA'

Ho trovato questa immagine online, su un gruppo Facebook dal titolo "INFORMAZIONE LIBERA". Purtroppo non è indicato il nome dell'autore: ho chiesto che mi venga indicato così da poterlo aggiungere a questo post. 

Trovo la rappresentazione estremamente efficace nella sua semplicità. Il titolo che ho voluto dargli è "ILLUSIONE DI LIBERTA' ". Molto spesso promesse e movimenti non conducono che ad una cella leggermente più larga, tanto da lasciar credere a chi vi entra di essere più libero, perché la situazione precedente era forse peggiore. Col tempo, però, la gabbia più grande sarà ancora più affollata e la quantità di coloro che vivranno in cattività sarà raddoppiata. 


venerdì 19 ottobre 2012

Censura o lecito intervento dello Stato? Opto per il secondo!



E veniamo all'intervento della Senatrice Baio, su un gioco di carte messo in commercio di recente (ometto volutamente nome del gioco e autore).

Alcuni hanno gridato allo scandalo perché in Senato si occupano di cose di questo tipo, ma la sostanza dell'intervento della Senatrice è assolutamente condivisibile. Mi chiedo se qualcuno abbia o meno speso un minuto per leggere questo intervento e se qualcuno abbia o meno fatto uno sforzo per pensare alle eventuali conseguenze della messa in commercio di un gioco che l'autore ha definito di satira sociale (mentre troverei più appropriato la dicitura di “pornografia”) senza le dovute precauzione per i minori da un lato e per la piaga della violenza sulle donne dall'altro.

Ci sono delle leggi e che piaccia o no vanno rispettate. La pornografia nonè illegale, se rispetta determinate regole e soprattutto se viene fatto tutto il necessario per evitare che certo materiale possa essere accessibile da parte dei minori. Non si può liquidare al questione affermando che “il prodotto è arte” né tanto meno affermando che “può essere acquistato online” (a maggior ragione, dato che non può essere verificato efficacemente chi è l’acquirente).

Il parlamento deve legiferare e occuparsi di questione molto serie, certo, ma questo non significa che non debba occuparsi anche di altro, specialmente quando ci sono gravi mancanze sul versante della tutela dei minori. Lo Stato  ha il diritto/dovere di vigilare su ciò che accade, dalle cose più importanti a quelle meno importanti (almeno apparentemente) nei limiti previsti dalla Costituzione dalle Leggi. Se il gioco è stato rimosso dalla vendita significa che certe regole non sono state rispettate, altrimenti nessuno avrebbe potuto intervenire in tale senso, in una Democrazia.  

Non è certo questione di moralità o immoralità, di arte o non arte, si tratta di mettere un limite all'accesso a materiale di un certo tipo, che da parte di bambini o ragazzini può essere visto senza dubbio in un'ottica completamente diversa dall'idea originale dell'autore (che comunque, personalmente, faccio fatica a considerare un qualche cosa di filosofico, metafisico o di critica sociale.......).

I casi di violenza sulle donne, specialmente tra i giovani, non sono rari e così come non lo sono le violenze di gruppo e le pratiche denigratorie a danno delle donne (ma non solo, posso citare transessuali, o omosessuali o anche ragazze e ragazzi in senso più generale).

Non credo che un uomo di 40 anni abbia più cervello di un ragazzo di 15, in virtù del dato anagrafico, ma i più giovani non hanno (a ragione o a torto) la stessa capacità di discernimento di un adulto. in termini di rischio credo che occorra tutelare i minori (dai 18 anni in giù, anche se l'età dei rapporti sessuali consensuali si è abbassata attorno ai 13-14 anni e quindi anche la conoscenza diretta di certe pratiche) e l'intervento della Senatrice, in questo senso non mi sembra assolutamente inutile né fuori tema. Ripeto, che non mi riferisco né alla moralità né alla immoralità dell'opera, ma al contenuto educativo e alla legittimità di non porre limiti all'accesso di questa. 
L’autore sostiene che è solo un “gioco” e si scaglia contro altri giochi, da Risico a Monopoli. Difesa debole e banale. Denota una totale mancanza di capacità argomentativa e una scarsa comprensione di quello che effettivamente comporta un “gioco” per dei ragazzi. Il gioco è molto serio, per i giovani e i giovanissimi. Certo, basta un po’ di conoscenza in ambito psicologico per saperlo, ma non è certo richiesto a tutti. Il gioco è un mezzo di interiorizzazione delle norme sociali e dei comportamenti, non è solo “spasso”, non è “senza senso”. Per un adulto il gioco è forse questo, ma per i più giovani no. Dai bambini ai ragazzi il gioco è una dimensione di apprendimento e paradossalmente, una immagine reale di sesso tra due adulti esercita nel ragazzo (fino ad  una certa età) repulsione e paura, perché vive l’azione come una violenza. Mentre questo non vale per il gioco, che fa leva su una dimensione del tutto differente: della fantasia e della immaginazione. Della costruzione delle idee e delle proprie rappresentazioni della realtà.

L’intervento della Senatrice va in questa direzione. Non è il gioco in sé il problema (o forse anche) bensì l’accessibilità a certo contenuti, che sono comunque ambigui e possono essere ricondotti ad una fattispecie di reato. L’autore si sente “indignato” perché viene mossa l’accusa di “incitare” alla violenza sulle donne, ma la verità è che le pratiche indicate nel gioco sono effettivamente pratiche denigratorie e lesive della dignità della donna (ma non solo, si possono citare anche transessuali o omosessuali, o ragazzi e ragazze in senso più generale).

Passando poi ad un’analisi più generica, sono perplesso e stupito che si voglia indicare un’opera di “pornografia” (il che non ha una connotazione morale, è una classificazione commerciale. Malgrado possa essere spesso usata per giustificare invece veri reati) come un’opera “di critica sociale” o di “ironia sociale”. Il termine “ironia” deriva dal greco e significa “falsità” e come figura retorica si richiama ad una “connessione con il reale” che viene accentuata come “casuale”. Dalla definizione stessa va da sé che questo gioco non può essere “ironico” giacché sfrutta immagini (rappresentazioni) più che concrete, dirette e esplicitamente connesse a certe pratiche (nella fattispecie sessuali) che tra l’altro sono espressione di casi veri di tragedie: stupri di gruppo, violenza sulle donne, pratiche sessuali denigratorie. L’inclusione delle droghe e delle azioni violente fa da cornice ad un qualche cosa che è sì pornografia e “fantasia” perché rappresentato con disegni, ma che è rivolto potenzialmente anche ad un pubblico non preparato e di minori, e non solo: le regole del gioco stesso sembrano indicare (con sistema di premiazione) certe condotte e pratiche. Certo che è finzione, ma l’effetto da valutare è “cosa viene a crearsi nell’immaginario delle menti più suscettibili e inclini all'imitazione”?. 

Il nesso tra azione pubblica e tutela dei minori, e censura potrebbe apparire sovrapposto, ma a parere di chi scrive non è così. I gioco può essere venduto in altro modo e con regole diverse ad un pubblico specifico. 

Vedremo cosa accadrà prossimamente.